L’incubo di ogni madre diventa realtà, questo è il sottotitolo del libro Non è mia figlia, o forse sarebbe meglio dire questa è una delle poche cose che mi hanno colpito di questo libro di Sophie Hannah. Già nemmeno il titolo principale mi fa impazzire, purtroppo, se si va a guardare la bibliografia di questa autrice, si trovano altri libri che iniziano con Non, e questo fatto ha fatto perdere il suo fascino al titolo. Ad esser sincera quello che mi ha inizialmente stuzzicato è che il cognome Hannah sia un palindromo, e se di un libro parlo del cognome dell’autrice si capisce già che forse il libro in se non mi ha appassionato. Questo libro ha però un primato, almeno per me, è uno dei pochi libri che ho letto di cui ho considerato l’opzione di non finire di leggerlo, solitamente se sono un minimo carini proseguo fino alla fine senza alcun dubbio.
Il problema del libro non è tanto la trama, anche se da un certo punto in poi diventa quasi scontata, quanto come è scritto. Un capitolo si e uno no è su diverse tempistiche, nulla di male in se come stratagemma per catturare l’attenzione, ma in questo libro è stato strutturato male, distrae troppo il filo conduttore del discorso e non aiuta a leggere in modo scorrevole. Oltre a questo il soggetto attraverso i cui occhi si vede la storia cambia quasi in continuazione, contribuendo alla confusione.
Arriviamo al punto forte del libro, alla fin fine se è un successo del passaparola un motivo ci sarà, ma in effetti l’unica cosa che posso trovare come spiegazione a questo è la presentazione dei personaggi. Dai personaggi principali a quelli secondari, i personaggi sembrano avere tutti problemi psicologici, chi di un tipo chi di un’altro, escludendo forse le comparse che sembrano le uniche ad avere una parvenza di normalità almeno in superficie. Peccato solo che in questo romanzo i personaggi a volte vengono un po’ esacerbati da questo, la caratterizzazione per quanto bella è forse un po’ troppo forzata, almeno a mio parere.
La madre Alice viene vista come paranoica da questa depressione post parto, nonostante debba sopportare il sadismo del marito David e l’oppressione della suocera Vivienne. Le logiche di pensiero di Simon, il detective che si occupa del caso, sembrano a volte inconsistenti, basate più su un suo sento senso, vede però ogni critica come un torto. Poi c’è la sua collega di lavoro che ha problemi con gli uomini. Insomma tutti hanno un qualche problema e anche se la cosa può essere considerata verosimile e brillante va un po’ a rendere stancante la lettura con fronzoli inutili e poco succo.
L’unica cosa positiva di questo caratterizzare i personaggi attraverso i loro modi di comportarsi, attraverso i loro pensieri privati e come vengano percepiti dagli altri, è quello di portarti a fare un esame di coscienza, un approfondimento sui propri comportamenti. Sembra voler dire che ognuno di noi ha dei pensieri nascosti, o alcuni modi di comportarsi che visti da un occhio esterno possono sembrare maniacali o comunque non adatti a delle persone normali.