Di castelli di rabbia in questo libro sembra invece che non ce ne siano molti, finchè forse non si arriva in fondo al libro e si capisce che tutto quello che si è letto lo è, e forse nemmeno allora. Qui tutto si intreccia nella città di Quinnipack, una cittadina particolare perchè particolari sono i suoi abitanti, in cui grazie al signor Rail c’è un treno senza binari, e grazie a Pekisch uno strumento musicale di cui gli uomini sono i pezzi per farlo funzionare, e dove c’è Jun che aspetta il momento di partire e di portare con se un libro la cui ultima parola è America.
Lo stile narrativo di Baricco è sempre quello e quindi devo per forza dire che il libro mi è piaciuto anche se continuo a preferire Oceano mare. Qui è il treno quello che sembra di sentire dalle pagine, dal modo in cui ripete le parole le frasi, con questa sequenza ripetitiva, sembra di trovarsi in alto sulla ruota del treno e poi di colpo in basso sui binari e poi su di nuovo. E’ stato descritto cosi bene che mi ha anche dato la nausea, ammetto però può anche essere che fosse dovuta ad altro visto che in quei giorni non stavo troppo bene XD.
Questa volta non c’è una frase in particolare che mi ha colpito, quanto alcune scene, alcune situazioni o cose assurde, come le note invisibili e il grido nella notte, la distruzione del palazzo di cristallo, l’epilogo dove i nomi e le situazioni dei personaggi prendono improvvisamente una nuova vita. Ma c’è Jun, meraviglioso personaggio, c’è Jun e il suo modo di dire le cose, cosi, senza rimpianti, c’è Jun che vive ogni giorno come fosse l’ultimo, Jun che mette la parola fine ad un viaggio lungo una vita, Jun che ricomincia a leggere il libro scritto a mano fitto fitto, perchè la bocca di Jun Rail non ti lasciava in pace.
Ed ora la colonna sonora, mai avuto una colonna sonora per un libro che avete letto? A me capita spesso, può essere abbinata al contenuto, ad un mio stato d’animo o non centrare nulla come forse in questo caso… Dolcenera – Il sole di domenica